Acqua bene comune – Storia di un Referendum

Il 18 di novembre i cittadini della provincia di Brescia saranno chiamati, tramite un referendum consultivo, ad esprimersi con un Sì o un No se il Servizio idrico integrato debba rimanere totalmente in mano pubblica, senza la presenza di un socio privato.

Ma perché di nuovo un referendum sull’acqua? I cittadini italiani non si erano già espressi nel 2011?

La risposta è che i governi che si sono succeduti da allora fino ad oggi non hanno fatto nulla per rendere effettivo il risultato del referendum, anzi hanno cercato in diversi modi di andare esattamente nella direzione opposta.

Un po’ di storia.

Nel giugno del 2011 quasi 26 milioni di cittadini italiani dissero due grandi SI’ sull’acqua, abrogando due norme di legge, una che prevedeva l’obbligo di privatizzare almeno il 40% delle partecipazioni delle municipalizzate (Legge Ronchi, art. 23bis), l’altra che prevedeva l’inserimento, nella tariffa del servizio idrico integrato, anche della “remunerazione del capitale investito”.

E’ stata una chiara ed inequivocabile espressione di volontà in favore di una gestione pubblica e trasparente dell’acqua, lontana da una logica di mercato.

Da quel giorno (ma anche prima) sono cominciate le azioni per boicottare quel risultato.

Solo due mesi dopo il referendum il governo Berlusconi cercò di ripristinare la norma abrogata dell’affidamento a privati dei servizi pubblici locali, ma venne bloccato da una sentenza della Corte Costituzionale 199/ 2012 in cui si affermava l’esistenza di un “vincolo costituzionale” che nessun governo poteva disattendere.

Successivamente con il decreto Sblocca Italia del governo Renzi e la legge di stabilità del 2014 vengono introdotte norme che rendono sempre più “difficili” (onerose) le gestioni “in house” da parte degli Enti Locali, favorendo la presa in carico di questi servizi da parte di soggetti privati (incentivando la cessione di quote dei comuni e i processi di aggregazione con finanziamenti specifici).

Nel 2016 si approvano i decreti attuativi della legge Madia sulla riforma della Pubblica Amministrazione che prevedono espressamente “la riduzione della gestione pubblica ai soli casi di necessità” e “il rafforzamento dei ruolo dei soggetti privati”.

Nel novembre 2016 la Corte Costituzionale con sentenza 251/2016 boccia la legge Madia e il governo fu costretto alla ritirata sui servizi pubblici locali.

Per completare il quadro, oltre a queste azioni messe in atto per annullare il responso del referendum del 2011, vogliamo ricordarne un’altra che ha riguardato proprio il secondo quesito del referendum del 2011: la “remunerazione del capitale investito”.

Poco prima del referendum è stata istituita l’agenzia AEEGSI, (Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico), oggi ARERA, un’Autorità formalmente indipendente che ha tra gli altri compiti quello di stabilire il metodo tariffario: ebbene questa agenzia, dopo il referendum, ha reintrodotto nella tariffa la “remunerazione del capitale investito”, in un primo momento surrettiziamente sotto mentite spoglie con un’ altra denominazione, successivamente con la stessa dicitura originaria, infischiadosene del responso referendario.

Attualmente la “remunerazione del capitale investito” prevista in tariffa va da un minimo del 6.5% ad un massimo del 13% a seconda dell’efficienza mostrata dal gestore del SII.

Veniamo all’oggi: perché il referendum consultivo provinciale?

Il decreto Sblocca Italia del 2014 prevedeva la riorganizzazione del Servizio Idrico Integrato su tutto il territorio italiano, suddividendolo in ATO (ambiti territoriali ottimali), nei quali il SII deve essere gestito da un gestore unico. Gli ATO sono individuati dalla Regione e corrispondono alle provincie (12 in Lombardia). Per ogni ATO è stato istituito l’Ufficio d’Ambito provinciale che ha, fra gli altri compiti, quello di affidare in concessione il servizio ad un unico gestore. Tale gestore può essere una società totalmente pubblica o una società mista pubblico-privato o una società totalmente privata.

Il Consiglio Provinciale di Brescia nel 2015, il cui parere sul modello gestionale da adottare è vincolante, si è trovato sul tavolo un’unica proposta dell’Ufficio d’ambito- la società mista – senza a vere la possibilità di discutere sulle diverse possibilità di affidamento del SII. La proposta è stata approvata con 99 voti favorevoli su 205 (teorici). Poi, nel 2016, il Consiglio provinciale ha costituito la società Acque Bresciane, una srl composta da soli soci pubblici (Provincia, Aob2, Garda Uno, Sirmione Servizi) e avrebbe dovuto indire una gara pubblica europea entro il 31 dicembre 2018, per individuare il socio privato a cui cedere il 49% delle azioni di questa società. (Ricordiamo che, in Lombardia, Brescia e Mantova sono le uniche provincie lombarde ad avere scelto una gestione mista pubblico-privato, mentre le altre provincie hanno optato per la gestione totalmente pubblica.)

In seguito a quella decisione, 55 comuni della provincia di Brescia, corrispondenti al 30 % della popolazione provinciale, hanno chiesto, in base al regolamento provinciale, che fosse indetto un referendum consultivo (il Consiglio Comunale di Gavardo è stato il primo a votare una mozione in tal senso, presentata da Gavardo in movimento): il 18 novembre siamo chiamati a dire la nostra su come vogliamo sia gestito il SII nella nostra provincia.

Il referendum è solo consultivo, cioè la decisione finale spetterà ancora ai sindaci della provincia di Brescia, ma più numerosa sarà la partecipazione al voto, più i nostri sindaci non potranno non tenere conto del risultato elettorale.
Facciamo il passaparola in modo che siano in tanti ad andare a votare il prossimo 18 novembre. Una valanga di SI’ per costringere i nostri sindaci a salvaguardare l’acqua, anche nella sua gestione, come Bene Comune.