Riprendiamo dopo diversi mesi il discorso sull’acqua come bene comune per fare il punto della situazione, stimolati anche da alcune prese di posizione pubblicate recentemente sulla stampa.
Ricordiamo che i cittadini italiani sono ancora in attesa che il parlamento e il governo diano seguito alla volontà espressa dal popolo italiano in modo chiaro e inequivocabile con il referendum sull’acqua del 2011 (2011? non è un refuso è proprio 2011, cioè 9 anni fa!): la maggioranza assoluta (quasi 26 milioni) di cittadini italiani dissero due grandi SI’ sull’acqua, abrogando l’obbligo di privatizzare le municipalizzate e l’inserimento in tariffa della “remunerazione del capitale investito”.
I cittadini si sono espressi a chiare lettere per una gestione pubblica e trasparente dell’acqua, lontana da ogni logica di mercato. Stiamo ancora aspettando che questo si avveri. In parlamento giace una legge di iniziativa popolare (la cui prima formulazione risale al 2007!) che aspetta ancora di essere discussa in parlamento.
A livello mondiale, è da tempo che molte grandi lobby economiche finanziarie hanno messo gli occhi sull’acqua: un bene essenziale per la vita (non si vive senza acqua) e nello stesso tempo limitato, due ottime caratteristiche “economiche” che garantiscono un’enorme possibilità di guadagno. È recente la notizia che un gruppo finanziario in California, leader mondiale dei contratti derivati, entro fine anno quoterà un “future” sul prezzo dell’acqua: (la scarsità dell’acqua diventerà così una commodity, cioè una merce su cui scommettere in borsa) e il suo prezzo sarà soggetto a speculazioni finanziarie come già avviene per i beni agricoli quali il grano. Chi ne vuol sapere di più legga l’articolo di Marco Bersani “Acqua: l’ultima frontiera della speculazione finanziaria”.
A livello provinciale, dopo il referendum del 18 novembre 2018 che chiedeva espressamente di mantenere pubblica la gestione del servizio idrico integrato, tutto è fermo (vi ha partecipato un quarto dei cittadini aventi diritto -non poco se si pensa che i principali partiti hanno lo hanno volutamente boicottato – che si è espresso per quasi la totalità per il SI). La società Acque Bresciane è ancora pubblica, ma in ogni momento potrebbe riprendere l’iter inizialmente previsto di far entrare un socio privato (A2A?) che poi gestirà di fatto il servizio.
A livello locale (Gavardo) sarebbe interessante sapere se il gestore del servizio abbia posto rimedio alle perdite particolarmente elevate (percentuale attorno al 40%) delle reti idriche del nostro acquedotto, motivo per il quali siamo incorsi in infrazione europea, assieme ad una cinquantina di altri paesi bresciani.
E’ Alex Zanotelli, sempre in prima linea sulla battaglia per l’acqua pubblica, che a metà novembre pubblica un appello e richiama alla loro responsabilità le forze politiche, in particolare il M5S e il PD. “È assurdo che la più̀ importante risorsa del Pianeta divenga negoziabile nel momento in cui la sua disponibilità̀ è messa sempre più̀ a rischio dai cambiamenti climatici. Cosa ci potrebbe essere di più̀ catastrofico che giocare in borsa sull’acqua, in un momento in cui già̀ scarseggia per miliardi di persone? Si stima che oggi quattro miliardi di persone (due terzi dell’umanità̀) devono affrontare scarsità̀ dell’acqua, per almeno un mese all’anno.”
“…È mai possibile allora che i partiti al governo siano pronti a investire miliardi e miliardi in Grandi Opere, come la Lione-Torino o il Ponte di Messina e non in un bene così fondamentale come l’acqua? Perché́ non investire nella ri-pubblicizzazione dell’acqua? Perché́ non investire nei 300mila km di rete idrica che perdono almeno il 50% dell’oro blu?”
Gli fa eco qualche giorno dopo Emilio Molinari, tra i fondatori del movimento per l’acqua con una lettera aperta a Roberto Fico, e lo incalza sia come presidente della Camera dei Deputati “che ha il dovere di richiamare tutti i partiti al rispetto della volontà popolare” che come “ … leader di un movimento che ha fatto della democrazia diretta e dei referendum la bandiera di una nuova sovranità popolare”.
Roberto Fico risponde a breve giro di posta e non si tira indietro: “… Ho affermato più̀ volte che lego questa legislatura all’approvazione di una legge sull’acqua pubblica. Una legge su cui la politica, il Parlamento, sono gravemente in ritardo.” Ripercorre i faticosi passi in avanti fatti in questa legislatura, ma ammette che “… Manca però il grande passo, appunto la riforma del servizio idrico integrato. E su questa inerzia dobbiamo essere severi”, impegnandosi in prima persona (” farò di tutto”) per raggiungere l’obiettivo in occasione del “decimo anniversario del referendum sull’acqua pubblica”.
Forse qualcosa si sta muovendo. Speriamo non sia un fuoco di paglia.
Nel frattempo può essere utile rinfrescarci la mente suiproblemi che l’attuale gestione del servizio idrico, da parte delle multi utility dell’acqua, ha evidenziato in questi anni. A questo proposito è bene andare a rileggersi un interessante inchiesta della rivista AltreEconomia di marzo 2019 “Il referendum tradito: otto anni dopo, l’acqua è ancora una fonte di profitto. Ecco perché”, che approfondisce questi aspetti.
Uno di questi è il metodo tariffario. Vediamo cos’è e le conseguenze che ne derivano.
Come viene stabilita la tariffa? La procedura è questa: ARERA, l’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e l’Ambiente predispone lo schema tariffario; gli Ato, Ambiti Territoriali Ottimali (in genere corrispondenti alle provincie)predispongono il piano economico finanziario per tutta la durata della concessione (Pef); i gestori del sevizio idrico applicano e riscuotono le tariffe.
La tariffa per legge dovrebbe coprire i costi di gestione e di investimento secondo il principio del “full cost recovery”, cioè il servizio viene pagato dai cittadini, come già succede per il servizio di raccolta dei rifiuti.
In realtà, così com’è stato congegnato da ARERA, nella tariffa compaiono anche costi esterni al servizio: gli “oneri finanziari” (un modo non troppo nascosto di reintrodurre la remunerazione del capitale investito, bocciata dal referendum), i “costi di morosità” e “il conguaglio” (anch’essi costi “impropri”, come spiegato nell’articolo).
Analizzando i bilanci di tre importati società che gestiscono il servizio idrico integrato in ampie zone dell’Italia SMAT (Torino), A2A (Brescia) e ACEA (Roma), si arriva “a 1,2 miliardi di euro di ‘costi eccedenti’ finiti in tariffa per gli anni che vanno dal 2014 al 2017”, intascati da queste tre società e impropriamente pagati dai cittadini. Si comprende, così, come con questo metodo le tariffe siano costantemente aumentate (del 90% in 10 anni!). In sostanza, un metodo, quello della tariffa, che fa gli interessi dei gestori, caricando costi fittizi sulle spalle dei cittadini.
Se alziamo lo sguardo a livello mondiale, troviamo un tema di grande attualità, su cui come società umana siamo chiamati a dare risposte: è lo stretto legame tra acqua e cambiamenti climatici, che riprenderemo in un’altra occasione e per il quale rimandiamo, per un primo approfondimento, alla sintesi delrecenteRapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2020.
Buona lettura!