La “città pubblica”

imageAl centro dell’attività di pianificazione di un’amministrazione comunale dovrebbe stare l’esigenza di soddisfare e garantire i servizi ai cittadini, tutti, originari o immigrati, giovani o vecchi, donne o uomini, abili e disabili, presenti o futuri, ecc.. Potremmo, cioè,  dire che al centro di un comune ci dovrebbe stare  il governo della “città pubblica”.Così l’ha chiamata  Patricio Enriquez, urbanista e architetto, nel suo libro  “Addio urbanistica, appunti per un progetto di governo del territorio” e a lui ci “ ispiriamo” per esprimere alcuni concetti su cui oggi vogliamo porre l’attenzione e aprire la discussione: urbanistica e governo del territorio, partecipazione nei piani urbanistici,  aree dismesse, interessi pubblici e privati.  

Su queste tematiche dobbiamo riflettere  se vogliamo parlare di vero governo del territorio, un territorio su cui vivere bene, noi e le generazioni future, e sul quale ogni funzione umana possa espletarsi nella sua pienezza ( dall’abitare, al camminare,  dal lavorare al rilassarsi, dall’ammirare, al coltivare, seminare, raccogliere, etc. ) in piena sicurezza e rispetto per la salute,  senza dovere deprimere, reprimere  o sopprimere nessuno dei diritti fondamentali di ogni individuo.

Differenza tra urbanistica e governo del territorio 

” L’urbanistica è una materia che si pone tra quelle umanistiche e quelle scientifiche, poiché si occupa del comportamento umano e delle modalità di insediamento nel territorio. L’esigenza di regolamentazione del suolo nasce in età moderna per correggere gli effetti negativi derivanti dall’ampliamento delle città industriali e dai fenomeni di urbanizzazione della campagna.

Compito dell’urbanistica è quello di assicurare, pur promuovendo lo sviluppo edilizio, la tutela e l’uso razionale del territorio per contenere gli effetti più deleteri di esso: sovraffollamento, inquinamento, alterazioni idrogeologiche, inadeguatezza dei servizi.

Il governo del territorio, invece, nasce da motivazioni finanziarie del terzo millennio, con la cosiddetta riforma della Costituzione, sancendo l’affermazione della rendita fondiaria ed economica dei suoli. In altri termini, il governo del territorio è il garante del ruolo determinante della finanza nell’edilizia rispetto alla tutela del territorio. 

La legge urbanistica lombarda del 2005 rappresenta l’esempio più calcante di come la tutela sia secondaria alla finanza, e l’aspetto più preoccupante è come tale legge stia facendo da scuola nel territorio italiano.

”  [1]

La partecipazione nei piani urbanistici

“Intanto la partecipazione nei piani urbanistici è dovuta alla recente introduzione di normative ambientali di matrice europea. E senza tali norme in Italia, forse, non sarebbe mai stata introdotta. Ma in Italia continua a sussistere una “devianza” che confonde -volutamente- procedure ambientali e procedure partecipative di condivisione delle scelte. 
Generalmente, salvo rari casi, possiamo parlare semmai di “momenti informativi”, dove il Comune illustra le scelte già prese e caso mai decise insieme a qualche “stakeholder” referenziato e ben accreditato. L’uso oramai generalizzato di un termine anglosassone, invece di uno latino, rende bene già l’idea del significato che si dà alla partecipazione, la quale è diventata una procedura di mera ottemperanza di un obbligo di legge, piuttosto che una vera occasione per acquisire un “sapere sociale” che è radicato solo nella società.

”  [1]

Recupero delle aree dismesse

” È importante avviare un serio processo di riconversione delle aree dismesse mediante forme di riuso che si contrappongano alla tradizionale abitudine del consumo del suolo libero, ma questa non può essere coniata come una attività di pubblica utilità e di interesse generale.
Una distorta visione del significato di “pubblica utilità”, come è avvenuto in Lombardia, comporta infatti un rovesciamento degli interessi collettivi a favore di quelli privati, che si sostituiscono, impropriamente, al pubblico nell’individuazione dei fabbisogni collettivi. 
In altri termini la riconversione delle aree private, per usi privati, spesso incorniciati con i termini di “valorizzazione” e “riqualificazione”, diventano prioritari rispetto agli urgenti e datati fabbisogni della collettività, perché la parola d’ordine è diventata “togliere il degrado dalla vista”, senza nemmeno capire se ciò che sostituirà il degrado comporterà maggiori problematiche rispetto allo stato iniziale. Un tipico paradosso italiano.”

  [1]

Interessi pubblici e privati:

Se un piano urbanistico è redatto da un ente pubblico, allora non si comprende per quale motivo si debbano rendere edificabili aree private quando queste non corrispondano ad un reale e vero interesse pubblico. Il governo del territorio sorge su un paradosso, perché individua a priori le aree riservate all’edificazione privata, che garantiscono gli introiti finanziari, e poi sulle restanti aree -che sono residuali- identifica la città pubblica. Anzi nei peggiori casi, sarà l’attività edificatoria del privato che individuerà, e non si capisce con quale criterio pubblico, le aree della città pubblica” [1]

[1] tratto da “Addio Urbanistica ” un articolo di Luca Martinelli del 7 gen 2014 pubblicato su Altraeconomia.

GdL ambiente e territorio

One thought on “La “città pubblica”

  1. Disilluso

    A Gavardo, purtroppo, il terreno sembra essere solo merce di scambio, utile solo a finanziare “le spese dell’amministrazione” che ha speso forse più di quello che avrebbe dovuto, lasciando un’eredità finanziaria di difficile gestione. Infatti, oltre a multare chi lascia due dita di finestrino abbassato ( per istigazione al furto), non si fa scrupolo a vendere l’unico terreno di proprietà del comune e dichiarare edificabile ogni angolo di verde, fino ai piedi delle colline a 5 metri dal bosco, ipotizzando strade di accesso nella sede di rii minori, troppo presto cancellati dalle mappe, assoggettando la futura edilizia, ma anche la preesistente a un aumento del rischio alluvionale e perché no di incendio, viste le estati siccitose degli ultimi tempi. Possibile che il cinismo da una parte e l’impotenza dall’altra siano i sentimenti che ci devono governare? Possibile che non riusciamo a qualificare invece che sperperare le nostre risorse? La vocazione commerciale di Gavardo, tanto appoggiata, forse è stata un pretesto per poter fare cassa e riempire la poca campagna di centri commerciali e capannoni destinati a svuotarsi dopo aver svuotato il centro. Risultato un paese sulla strada del vuoto.

I commenti sono chiusi.